Le somme destinate all’iscrizione annuale e quelle versate per partecipare alle attività educative, come uscite o gite annuali, rientrano tra i proventi non commerciali

Non sono soggette ad imposizione le quote di iscrizione e corrispettivi specifici versati da iscritti, non associati, alle Associazioni per la promozione sociale territoriale (Aps), che sono anche tesserati a organizzazioni nazionali di cui l’Aps è parte. È, in estrema sintesi, il chiarimento fornito con la risposta n. 115 del 24 maggio 2024 dell’Agenzia delle entrate.

Nel caso in esame, una sezione territoriale di un’Aps nazionale nel proprio statuto distingue gli iscritti, cioè in pratica i minori che sono inseriti nel percorso educativo, e gli associati, adulti con mansioni di educatori volontari che beneficiano invece dei diritti di voto.

Ciascun iscritto versa una quota destinata all’iscrizione all’associazione e al tesseramento all’Aps nazionale. Gli stessi iscritti versano poi all’Aps anche dei corrispettivi specifici per la fruizione delle attività educative proposte nel corso dell’anno, come gite uscite escursioni, ecc.

Il dubbio, quindi, è se devono essere considerati compensi da attività commerciali le quote di iscrizione versate dagli iscritti, privi di diritti partecipativi, parte delle quali viene a sua volta trasferita per il tesseramento all’Aps nazionale.

L’Agenzia rileva che il punto centrale dell’istanza sono le previsioni dell’articolo 148, comma 1 del Tuir, rivolte agli enti non commerciali costituiti in forma associativa, secondo cui:

«non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo».

Inoltre, il successivo comma 2 stabilisce, invece, che rientrano nelle attività commerciali:

«le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto”.

Infine, il comma 3 prevede, per talune enti associativi (tra cui le Aps), che non si devono considerare

commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati».

In pratica il comma 3 “decommercializza” per taluni enti associativi, l’attività svolta verso il pagamento di corrispettivi specifici, a patto che l’attività sia finalizzata agli scopi istituzionali dell’ente e le cessioni di beni e le prestazioni di servizi siano effettuate a favore degli iscritti locali o nazionali che siano tesserati.

In conclusione, l’Agenzia ritiene che le disposizioni agevolative dell’articolo 148, comma 3 citato possano applicarsi anche alle prestazioni effettuate dall’associazione istante agli iscritti (non associati), a condizione che gli stessi siano anche tesserati all’ente di riferimento nazionale.

L’irrilevanza reddituale riguarderà sia la quota di iscrizione annuale all’Aps, sia il versamento che l’Aps trasferisce all’associazione nazionale come parte del tesseramento annuale del proprio iscritto.

Vincenzo D’Anzica

Dottore Commercialista e Revisore Contabile

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