Il quesito
Sono titolare di una piccola ASD che organizza attività per ragazzi anche in trasferta, quindi per reperire i fondi siamo costretti a ricorrere a sponsorizzazioni locali, qualora i proventi da sponsorizzazione superino quelli sportivi dovremmo rinunciare al regime di vantaggio della L. 398/1991?
Risposta
Innanzitutto la corresponsione di sponsor impone all’Associazione in questione l’apertura (ove ancora non ne sia provvista) di partita IVA.
Fatta questa premessa, va precisato che il limite di € 400.000 (250.000 prima della Legge di Bilancio 2017) si riferisce alle sole entrate commerciali, non a quelle istituzionali. La ratio della norma è quella di favorire gli enti associativi nel reperire i mezzi necessari per svolgere le proprie attività istituzionali, non di certo per ostacolarne la vita. Nulla è imposto circa il rapporto tra le entrate istituzionali e quelle commerciali, evitando di fare confusione con le entrate “marginali e occasionali” che riguardano invece gli enti no-profit con solo codice fiscale, mentre abbiamo chiaramente premesso che per l’attività di sponsorizzazione occorrerà emettere fattura e quindi essere provvisti di partita IVA.
Altro errore comune è quello di far riferimento agli articoli 148 e 149 del TUIR dove tra le cause per la perdita della qualifica di ENC si evincono la prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative. Ebbene, il TUIR è datato 1986, la Legge 398 invece è datata 1991, quindi successiva e preminente.
La prevalenza, quindi, dei ricavi commerciali su quelli istituzionali può costituire al massimo indizio per le autorità competenti per il disconoscimento della qualifica di Ente Non Commerciale, ma non prova assoluta, come tra l’altro precisato in un interpello del 19/12/2015 dell’Agenzia delle Entrate:
“… Pur tuttavia si vuole evidenziare che la prevalenza dei ricavi da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività istituzionali, prevalenza che per il comma 2 dell’art. 149 è uno dei sintomi di non commercialità, ha un valore non assoluto ma indiziario. Consente quindi di pervenire alla perdita della qualifica di ente non commerciale solo in presenza di un “giudizio complesso” che si concluda con una valutazione in verso, come precisato dalla circolare 124 del 12/05/1998… “
Vincenzo D’Anzica
Dottore Commercialista e Revisore Contabile