Premessa
Il D.Lgs. 117/2017 (c.d. Codice del Terzo settore) ha escluso (art. 89, comma 4) le associazioni culturali dalla futura applicazione dell’art. 148, comma 3, Tuir riformulato come di seguito:
Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, sportive dilettantistiche, nonché per le strutture periferiche di natura privatistica necessarie agli enti pubblici non economici per attuare la funzione di preposto a servizi di pubblico interesse, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.
Il decreto in questione ha inoltre abrogato la l’art. 9-bis, D.L. 417/91 che prevede la possibilità per le associazioni senza scopo di lucro e per le pro-loco di applicare la L. 398/91.
In definitiva per le associazioni culturali per effetto della riforma del Terzo settore a partire dal periodo di imposta successivo all’autorizzazione della Commissione europea di cui all’articolo 101, comma 10, CTS e, comunque, non prima del periodo di imposta successivo di operatività del Registro unico degli enti del Terzo settore (c.d. RUNTS), verrà meno la possibilità di fruire della de-commercializzazione delle quote di frequenza versate dai propri associati/tesserati nonché esclusa l’applicabilità del regime forfettario di cui alla L. 398/91.
Quali le conseguenze?
Come si può evincere, l’adeguamento a queste novità metterebbe a dura prova gran parte delle circa 12.000 associazioni culturali attualmente esistenti sul territorio italiano, le quali spesso hanno una struttura ridotta al minimo essenziale e si reggono sugli sforzi in termini di tempo ed economici dei soci fondatori. Entrare nell’ottica di adeguamenti statutari, redazione di bilanci e creazione di siti web potrebbe non essere facile per queste realtà, costringendole a rinunciare all’adeguamento.
Le associazioni che rinunceranno all’adeguamento potranno continuare ad esistere e svolgere la propria attività istituzionale, ma a livello fiscale dovranno prendere atto di una situazione peggiorativa. L’associazione culturale potrà usufruire della neutralità fiscale ai fini IVA dei corrispettivi versati dai propri associati e tesserati, ma non saranno più considerati entrate decommecializzate. I corrispettivi costituiranno introiti da attività commerciale imponibili ai fini IRES, e, come per tutti gli altri introiti commerciali dell’associazione, non godranno delle agevolazioni della legge 398/1991 che prevede, tra l’altro, una base imponibile del 3% del fatturato.
Come fare, dunque?
Ipotesi 1: acquisire la qualifica di APS
I requisiti per costituire una Associazione di Promozione Sociale sono:
- presenza almeno sette soci persone fisiche o tre associazioni di promozione sociale (art. 35 Cts);
- utilizzo in via prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati o delle persone aderenti agli enti associati (art. 35 Cts);
- assunzione lavoratori dipendenti o impiego di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura, anche dei propri associati solo quando ciò sia necessario ai fini dello svolgimento dell’attività di interesse generale e al perseguimento delle finalità (art. 36 Cts);
- numero dei lavoratori impiegati nell’attività non superiore al 50% del numero dei volontari o al 5% del numero degli associati (art. 36 Cts).
Tale soluzione richiede evidentemente un mutamento piuttosto radicale dell’impianto organizzativo, nonché la difficoltà di reperire il numero minimo adeguato di elementi per la costituzione. Un modo per aggirare questi ostacoli è rappresentato dall’art. 42bis del Cod. Civ. che regolamenta il processo di fusione con altra associazione.
Vengono in tal modo assicurate le agevolazioni legate alla fiscalità diretta (artt. 79 e 85 Cts), alla liquidazione delle imposte (l’art. 86 prevede per le Aps un regime forfettario analogo a quello della legge 398 qualora i ricavi commerciali non superino i 130.000 euro) e alla possibilità di accedere in misura determinante a contributi pubblici e privati. Oltre a queste agevolazioni di carattere fiscale ve ne sono inoltre tante altre ancora di carattere amministrativo, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni e per la possibilità di utilizzare un immobile per la propria sede legale a prescindere dalla destinazione urbanistica (art. 71 Cts).
Ipotesi 2: diventare Ente Generico del Terzo Settore
Sembrerebbe in apparenza la via più facile ma la prima ovvia conseguenza è rappresentata dalla perdita delle agevolazioni fiscali sui corrispettivi specifici versati dai soci, che sarebbero quindi commerciali (art. 79 comma 6 Cts). La loro natura prevalente denoterebbe un ente commerciale, con la preclusione delle agevolazioni legate al regime fiscale forfettario (art. 80 comma 1 Cts) e delle agevolazioni sotto il profilo contabile (art. 13 comma 4 Cts) a prescindere dal volume totale delle entrate commerciali.
Ipotesi 3: diventare impresa sociale
Un ETS con natura commerciale che si avvalga prevalentemente di lavoro può optare per la soluzione dell’impresa sociale. Se è vero da un lato che tali soggetti conservano delle agevolazioni non indifferenti (sotto il profilo degli incentivi alle donazioni, ex art. 83 Cts, delle imposte indirette, ex art. 82 Cts, delle imposte dirette, art. 18 dlgs 112/2017), dall’altro lato presenta un sistema molto più complesso. Infatti, a prescindere dai volumi di attività, dovrà nominare i sindaci, adottare una contabilità ordinaria, approvare, oltre al bilancio civilistico anche quello sociale ed effettuare la valutazione di impatto sociale. Parliamo di oneri che determinano un notevole aggravio di costi gestionali ed economici difficile da sostenere se si tratta di una piccola organizzazione.
Cosa fare?
Ricordiamo che le novità fiscali a cui abbiamo fatto riferimento entreranno in vigore solo dall’esercizio successivo a quello di funzionamento del Runts, a seguito dell’assenso della Commissione europea sui nuovi regimi fiscali. Pertanto c’è tempo per una valutazione attenta della realtà da adottare.
Inoltre sarà possibile cambiare da un soggetto ad un altro, in quanto un’Aps potrà assumere nel tempo la qualifica di Ets o di impresa sociale migrando tra una sezione e l’altra del registro senza dover devolvere il patrimonio (art. 50 Cts).
Vincenzo D’Anzica
Dottore Commercialista e Revisore Contabile